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COL CUORE IN ITALIA

Storia ed Arte

AMANDA LEAR ...

AMANDA LEAR ...

               

Divertente, stravagante e ironica, Amanda Lear è un'artista totale: cantante, attrice, presentatrice e modella, fu allieva, musa e confidente di Salvador Dalì.

Amanda dipinge da 20 anni. Il suo lavoro parte da un espressionismo figurativo, non schematico, dove i diversi linguaggi comunicativi usati imprimono ai suoi quadri grande sensualità e una vitalità che colpisce tutti i sensi, dove i colori accessi sono un punto basilare della sua ricerca creativa.

Lear divertente, stravagante. ironica è un'artista totale: cantante, attrice, presentatrice, modella, l'allieva, la musa e la confidente di Salvador Dalì. Debutta a Rotterdam, in seguito ha esposto nelle maggiori capitali e grandi città come Berlino, New York, Parigi, Palm Beach, Milano, Amsterdan fra le tante.

Amanda Lear è figlia di un inglese e di una esiliata russa. Studia arte a Parigi e negli anni '60 si trasferisce a Londra. Durante questo periodo incontra i maggiori rappresentanti fra i disegnatori, musicisti e artisti che appartenevano ai diversi circoli artistici che lei frequentava. Le sue preferenze comprendevano principalmente il movimento surrealista e l’espressione del corpo, avendo studiato anche l’arte del mimo.

L'incontro con Salvador Dalì nel 1965 cambia la sua vita. Nei successivi 15 anni diventa la sola amica, musa e confidente del grande pittore e della sua moglie Gala. Vive nella loro casa di Cadaqués (Spagna) ed è stata sempre presente negli spostamenti invernali a New York e Parigi.

Benché avesse dichiarato che una donna non dovrebbe mai dipingere, Dalì è stato il suo pigmalione permettendole di lavorare assieme a lui e insegnandole tutto quello che Lear conosce sull’arte e le sue tecniche, accompagnandola nei grandi musei del mondo e servendole da guida nella scoperta degli artisti con il suo personalissimo punto di vista.

 

Conosciuta internazionalmente come cantante pop, divenne famosa quando la sua prima canzone entrò nelle hit parade internazionali,  È una delle regine della disco music degli anni settanta con canzoni come Tomorrow, Queen Of Chinatown, Follow Me e Enigma. Ha inciso canzoni in inglese, italiano, francese e tedesco. Ha collaborato con i CCCP incidendo nel 1988 una cover di Tomorrow in cui duetta con Giovanni Lindo Ferretti.

                      follow me

Viene chiamata a condurre trasmissioni TV in Italia da Silvio Berlusconi: tra i tanti programmi ha condotto Il brutto anatroccolo su Italia 1 e Cocktail d'amore sulla RAI. Ha anche lavorato in Francia, a La Cinq, presentando lo show d'apertura della rete e il programma "Cherchez la femme".

In occasione della lavorazione del programma su Italia 1 conosce Manuel Casella, modello e concorrente del reality show L'isola dei famosi,  del quale è la compagna da 5 anni. Era stata chiamata alla conduzione del reality show La Talpa, la prima edizione su RaiDue, ma dopo la prima puntata fu sostituita da Paola Perego. Ultimamente è stata uno dei membri della giuria del fortunato programma Ballando con le stelle (Rai 1) presentato da Milly Carlucci.

Ma ricordiamo che non per questo trascura la passione della sua vita:la pittura.

Ricordiamo che nel 1980 la sua prima mostra a Rotterdam, incoraggiata dal successo ottenuto e della pubblicità ricevuta dai media espone a Parigi, Berlino, Milano e Ginevra attirando l’attenzione dei collezionisti europei.

 

Le piace ricordare che ha aspettato 20 anni prima di avere la possibilità di esporre i suoi lavori ed è grata a Dali per esserle stato amico e maestro.

Vive vicino a Baux en Provence in mezzo ai paesaggi amati da Van Gogh, dove la luce le ricorda quella di Cadaques.

POMPEI, GLI SCAVI IERI E OGGI

POMPEI, GLI SCAVI  IERI  E  OGGI

 La mattina del 24 agosto del 79 d.C., si sentì un boato nella regione vesuviana. Dal vulcano una nube di gas e pomici si proiettò in alto, simile ad un pino, ed oscurò il cielo. Una pioggia di lapilli e frammenti litici ricoprì Pompei: durò fino al giorno dopo facendo crollare i tetti e mietendo le prime vittime. I Pompeiani tentarono di ripararsi nelle case o sperarono nella fuga, camminando sul letto di pomici che si andava formando, alto ormai più di 2 m. Ma alle 7.30 del 25 agosto, una scarica violentissima di gas tossico e cenere ardente devastò la città: essa si infiltrò dovunque, sorprendendo chiunque cercasse di sfuggire e rendendo vana ogni difesa. Una pioggia di cenere finissima, depositata per uno spessore di circa 6 m, aderì alle forme dei corpi e alle pieghe delle vesti e avvolse ogni cosa. E quando, dopo due giorni, la furia degli elementi si placò, l'intera area aveva un aspetto diverso: una coltre bianca avvolgeva tutto; il fiume Sarno stentava a ritrovare il suo corso, invaso dai detriti vulcanici; e la costa, sommersa dal materiale eruttato dal Vesuvio, aveva guadagnato spazio al mare! L'area della città fu interdetta al passaggio, per salvaguardare le proprietà degli scampati, ma scavatori clandestini cercarono comunque di saccheggiarla: per lungo tempo la presenza umana fu rara e marginale, e solo con l'imperatore Adriano, intorno al 120 d.C., fu ripristinato almeno l'assetto viario nella zona.

                                                        CASA DEGLI AMORINI DORATI

Gli scavi ebbero inizio nel 1748, durante il regno di Carlo di Borbone, Re delle Due Sicilie, con l'intento prevalente di conferire prestigio alla casa reale.
Si procedette in modo discontinuo e in punti diversi dell'area, che solo dopo qualche anno fu identificata come Pompei, senza un piano sistematico. Furono così riportati alla luce parte della necropoli fuori porta Ercolano, il tempio di Iside, parte del quartiere dei teatri.
Il periodo di occupazione francese, all'inizio del 1800, vide un incremento degli scavi, che venne poi spegnendosi con il ritorno dei Borbone. Si lavorò nella zona dell'anfiteatro e del Foro e ancora in quella di porta Ercolano e dei teatri. Grande eco suscitò la scoperta della casa del Fauno, con il grande mosaico raffigurante la battaglia di Alessandro.
Dopo l'unità d'Italia e la nomina di Giuseppe Fiorelli alla direzione degli scavi (1861) si ebbe una svolta nel metodo di lavoro. Si cercò di collegare i nuclei già messi in luce e di procedere in modo sistematico, di tenere resoconti di scavo più dettagliati, di lasciare sul posto i dipinti (precedentemente venivano staccati e portati al museo di Napoli). Fu anche introdotto il metodo dei calchi in gesso, che consentì di recuperare l'immagine delle vittime dell'eruzione. All'inizio del nostro secolo, l'esplorazione venne estendendosi, seguendo le direttrici costituite dalle strade, verso la parte orientale della città, ponendo sempre più attenzione anche alle tracce lasciate dal piano superiore delle case.
Si giunge così al lungo periodo (1924 - 1961) segnato da Amedeo Maiuri. Nella sua intensa attività, oltre alla scoperta di edifici di grande prestigio (valga per tutti la Villa dei Misteri) è da segnalare il completamento della delimitazione della città, lo scavo di ampia parte delle regioni I e II e della necropoli di porta Nocera, l'inizio metodico dell'esplorazione degli strati sottostanti al livello del 79 d.C., alla ricerca delle fasi più antiche di Pompei.
In questi ultimi decenni, l'attività di scavo si è progressivamente ridotta, ritenendo opportuno concentrare le poche risorse disponibili (largamente insufficienti anche per questo solo compito) sul restauro e sulla manutenzione degli edifici già portati alla luce.

                                                                        

                                     

                                                                                 VASO D´ARGENTO TROVATO A POMPEI

Nel corso del 2003 è stato attivato un progetto di ricerca, iniziato con il rilievo architettonico e ambientale dei Fori Civili di Pompei con l’utilizzo della tecnologia laser scanner 3D integrata con stazione totale e GPS per la georeferenziazione, finalizzato alla realizzazione di una banca dati tridimensionale e al restauro ed alla protezione delle pitture murali presenti lungo via dell' Abbondanza (Regio IX, Insulae 7 e 11).
A partire dalla banca dati tridimensionale sarà possibile risalire alle dimensioni dei singoli elementi dell’area archeologica ed estrarre piante, sezioni e prospetti delle zone rilevate; basti pensare che, attraverso il laser scanner, sono stati raccolti complessivamente 226.945.054 punti ottenendo, a seconda delle zone, una densità di punti con una griglia di 1x1cm o di 5x5 cm.


 

IMMAGINE DEL MODELLO 3D DELLA BASILICA VISTA DAL FORO

  

STORIA DEL TANGO

STORIA DEL TANGO

Il problema relativo alla derivazione del nome tango non è soltanto di interesse etimologico. Siccome le ipotesi sono tante, lo stabilire con certezza da dove derivi tale termine, aiuta ad orientarsi nella costruzione della storia delle origini di questo ballo misterioso. Josè Gobello, che ha affrontato il caso in tutti i suoi aspetti più reconditi, ha scritto un intero capitolo sull'argomento: Tango, vocablo controvertido, pubblicato in  Historia del tango,  senza poter garantire, come il titolo denuncia, una conclusione universalmente accettabile.

Dall'analisi della molteplicità delle fonti oggi disponibili a livello mondiale, ho ricavato un elenco di ipotesi che di seguito espongo. 

          TANGO:

  • Deriva dal termine francese tangage che significa beccheggio. In tale ipotesi, si paragona al movimento oscillatorio delle imbarcazioni una iniziale figura caratteristica del ballo consistente in una specie di dondolio. 

  • Deriva dal verbo latino tangere che significa toccare. Il riferimento, in tale ipotesi, è allo stretto contatto dei partners.

  • E' un termine di origine giapponese che corrisponde ad una città nipponica e ad una festa che in quella città si svolgeva. Il termine sarebbe stato mutuato dalla lingua parlata dalle comunità giapponesi trasferitesi a Cuba alla fine del XIX secolo.

  • E' un termine spagnolo che significa ossicino.

  • Deriva da fandango, una danza andalusa di provenienza araba. Il fandango si diffuse in Spagna durante il secolo XVIII e da qui fu portato in Argentina.

  • Deriva da tango flamenco (tanguillo) che si sviluppò in Spagna alla fine del XIX secolo e si incanalò in un duplice filone:

    • il tango gitano che esasperò le figure femminili ad aperto contenuto sessuale, suscitando scandalo. I partners ballavano a distanza; ma la dama assumeva atteggiamenti sensuali molto provocatori;

    • il tango delle scuole, che fu limato e reso compatibile con i costumi dominanti.

  • Deriva da tangos, nome dato ai locali che rappresentavano i ritrovi dei neri e degli immigrati in genere; molte feste di neri si svolgevano in case private: tali case stesse erano chiamate tangos.

  • Deriva dal termine africano tambo che significa tamburo. 

  • Deriva da tangano, nome di un ballo che gli schiavi negri portarono in Argentina.

Le fonti letterarie sono diverse e significative. A volte convalidano (in maniera più o meno convincente) alcune delle suddette ipotesi; altre volte aprono scenari ancora più suggestivi:

  • Il Diccionario de la Real Academia Espanola, del 1803, riporta che il termine tango esiste dal 1836 col significato di ossicino.

  • Horacio Salas non ha dubbi sulla derivazione portoghese del termine.

  • Secondo Enrico Corominas tango indica genericamente una danza argentina. Nel suo Diccionario etimologico afferma che il termine tango, inizialmente indicava una danza dell'isola Fer, e dopo è stato introdotto nelle Americhe con due significati paralleli: 

    • "Riunione di neri per ballare al suono del tamburo";

    • "Nome del tamburo stesso".

  • L'ipotesi della derivazione da tambo è sostenuta sia dal sociologo uruguaiano Daniel Vidart (Teoria del Tango, Montevideo, Ed. de la Banda oriental, 1964) che da Blas Matamoro. Vidart non esclude la derivazione da tangir, tocar, nel significato di suonare uno strumento. Per Blas Matamoro (La ciudad del tango, Buenos Aires, Galerna, 1959) tango e tambo sono onomatopee: nelle feste nere era immancabile la presenza del candombe, uno strumento a percussione fondamentale per qualsiasi tipo di danza.  

  • Lydia Cabrera, studiosa di religioni caraibiche, ha inserito nel suo Vocabolario Congo il termine tango col significato di sole.

  • Fernando Ortiz sostiene che tangos è parola di derivazione cubana, ed è legata ad una tradizione tipica dell'Avana, le cui tracce portano alla fine dell'Ottocento: durante la festa dei Re Magi, gruppi di uomini mascherati da diavoli correvano e ballavano per le strade al suono di strumenti primitivi.  

  • Carlos Vega, che è uno dei più grandi studiosi di folklore latino-americano, ha trovato:

    • in Messico le tracce di un ballo chiamato tango, risalente al XVIII secolo;

    • in Argentina un tango andaluso con caratteristiche zigane, già presente nel 1880. 

    Egli esclude in ogni caso, nella formazione di tale danza, elementi di origine nera.

  • Meri Lao suggerisce l'ipotesi che "il termine tango designasse  il porto dell'Africa dove i trafficanti raccoglievano i cosiddetti 'pezzi d'ebano', e anche il posto in terra americana dove li vendevano." (lao MERI,  T come Tango, Roma, Elle U Multimedia, 2001). 

  • E' il caso inoltre di ricordare che il rapporto fra tango flamenco e tango è stato oggetto di uno studio approfondito da parte del francese Jacque Bense, il quale ha ricostruito il percorso completo, durato alcuni secoli, dei balli che si possono considerare antenati del tango (Les Danses en vogue). L'Autore sostiene che il tango flamenco (spagnolo) già esisteva nel XV secolo: lo avevano portato i Mori nelle regioni del Sud. Trattandosi di un ballo equivoco e moralmente scomodo, fu osteggiato quasi ovunque. Nelle regioni del Nord della Spagna fu addirittura abolito con provvedimenti ufficiali di divieto. Fuori dalla ufficialità, la danza sopravvisse nelle abitudini di gruppi appartenenti agli strati sociali più poveri e presso alcune comunità di gitani che si spostavano da una località all'altra. Quando molte famiglie gitane si trasferirono in Centro America in cerca di fortuna, il tango flamenco mise nuove radici a Cuba e dintorni. Mescolato a motivi ed elementi africani, diede origine all'habanera cubana che, come tutti sanno, è la madre diretta del tango argentino. Gli 'scandalosi' intrecci di gambe, tanto per fare un esempio, sono passi di habanera... e il tango li ha esaltati.

 

  IL RITMO

Il ritmo è di derivazione negra. Più precisamente, prende le mosse dalla habanera cubana, a sua volta emanazione di motivi africani portati dagli schiavi in America Latina nel XVIII secolo (fatta salva la ipotesi di ricostruzione del citato Jacque Bense). 

L'habanera nasceva come piattaforma musicale e basta. Raggiunse la forma compiuta del classico brano con testo, attraverso l'incontro e la fusione con la payada, che era un canto poetico caro alle genti delle campagne. Habanera più payada generarono la milonga (che fu anche una danza): un canto malinconico e triste che raccontava le difficoltà della vita e le pene d'amore della povera gente, al suono di chitarra, flauto e violino. La milonga rappresentò a tutti gli effetti la matrice del tango. Non a caso, fino al 1910, il tango fu chiamato milonga con cortes. Per completezza di informazione, devo ricordare che secondo Leòn Benaros (El tango los lugares y casas de baile, in Historia del tango, Buenos Aires, Corregidor, 1977) il termine milonga designava la prostituta.

Vicente Rossi nel libro Cosas de Negros (1926) ricostruisce un duplice rapporto di filiazione diretta: il candombe genera la milonga; e la milonga genera il tango. Il candombe è stato creato dai neri di Montevideo.

Il genere tango fu presto assimilato dagli immigrati europei che ne colsero la profondità ed una sorta di bellezza malinconica, legata al senso delle cose perdute. La sua musica sembrava il sottofondo più idoneo a segnare il ritmo della emarginazione e della sconfitta. 

Inizialmente la musica del tango fu scritta in 2/4 ed il ritmo era abbastanza veloce. Successivamente fu scritta in 4/8 e 4/4. Man mano che prese piede l'abitudine di aggiungere il testo alla musica, il ritmo fu rallentato. 

A partire dal 1917, l'uso del tango cantato fu generalizzato. In quell'anno, Carlos Gardel  presentò in un teatro di Buenos Aires il brano "Mi noche triste". Il successo fu strepitoso. Già nel 1915, in verità, era stato composto da Rodriguez il famoso pezzo "La cumparsita". Ma fu sempre Carlos Gardel a lanciarlo, dopo che diventò celebre, assieme ai classici "Choclo" di Villoldo e "Caminito" di Filiberto. Nei pochi anni della sua carriera, Carlos Gardel portò il tango in giro per il mondo: in tutta l'America e in tutta l'Europa, prima come cantante e dopo come attore. Si racconta che quando morì, nel 1935, a soli 45 anni (in un incidente aereo), molte donne in Argentina si suicidarono per aver perso il loro idolo.

 

La svolta di ASTOR PIAZZOLLA

Dopo la morte di Carlos Gardel, assieme al mito del personaggio, crebbe l'amore per il tango. Dal 1940 in poi, a parte la pausa bellica, si assistette ad un crescente interesse per il tango, anche dal punto di vista artistico-musicale. In Argentina molte scuole e molte orchestre proposero varianti stilistiche che influivano direttamente sul piano del ritmo. Alcuni musicisti tornarono ad un tango più veloce e più vicino a quello delle origini, riproponendo un tempo di 2/4. 

Il più grande compositore degli ultimi decenni è stato Astor Piazzolla (1921-1992). Egli si affermò negli anni settanta con Libertango, oggi riproposto in decine di versioni raffinate, da grandissime orchestre. L'originalità di Piazzolla consiste nell'aver introdotto elementi jazz nella piattaforma tango, col risultato di tirarne fuori un prodotto musicale di altissima qualità, degno di essere classificato come musica classica. A tal fine egli ha utilizzato egregiamente chitarra elettrica e xilofono. Il tango di Piazzolla non si balla, date le alterazioni ritmiche e i giochi di sovrapposizione di più melodie. Ma quando lo si ascolta, viene voglia di volare!

 

IL VETRO ARTISTICO DI MURANO

IL VETRO ARTISTICO DI MURANO
Il vetro come materiale al servizio della civiltà umana è noto fino dall’antichità più remota e la sua prima comparsa nel mondo si perde nella leggenda. Indubbiamente ha rappresentato un elemento importante sia nella civiltà egiziana che nella civiltà siriana.
Già nella preistoria l’uomo conosceva l’ossidiana, una pietra vetrosa di origine vulcanica, originata per rapido raffreddamento della lava. Con l’ossidiana venivano fabbricati armi e utensili.
Essa aveva un aspetto traslucido, di color nero o verde scuro, quasi mai trasparente.
Le ipotesi sull’origine del vetro artificiale sono molteplici e comunque non sufficientemente suffragate da prove pervenute ai giorni nostri ma da notizie tramandate. Le prime notizie quasi certe sulla sua fabbricazione si fanno risalire intorno al 3000 a.C.
Probabilmente i primi manufatti in nuclei cristallini coperti da un sottile strato vetroso di colore azzurro ed azzurro-verde furono prodotti in Mesopotamia per imitare le pietre dure. Nel 2000 a.C., secondo varie fonti, l’arte del vetro era già fiorente anche in Egitto e in diverse regioni dell’Asia.
Alcune notizie sulla lavorazione del vetro in India e in Cina, con produzione limitata alla fabbricazione di piccoli vasi, soprattutto per unguenti sono databili intorno al 1000-500 a.C.
L’invenzione della canna da soffio viene fatta risalire intorno al 20 a.C.
Nel periodo I-IV d.C. la produzione vetraria raggiunge il massimo splendore nell’Impero romano. Il vetro è ormai un materiale di uso comune; si fabbricano vasi, bottiglie e si ha notizia anche delle prime lastre.
Negli anni 400-600 d.C. vi fu il periodo bizantino (nel V-VII secolo di sviluppò il mosaico e del vetro colorato) ad opera di maestranze bizantine.
Nel 700-800 d.C. anche la civiltà islamica porta il suo contributo alla fabbricazione del vetro.
Nel IX secolo inizia la lavorazione del vetro a Venezia che rimarrà il punto di riferimento europeo per questa tecnica per circa 8 secoli.
Nel 1291, al fine di evitare pericoli di incendi, la lavorazione del vetro viene confinata nell’isola di Murano.Nel 1369 si ha la prima notizia della lavorazione degli specchi a Murano. Alla metà del XV secolo risale l’invenzione a Murano ad opera di Angelo Barovier del cristallo, un vetro così limpido e decolorato da essere computabile al cristallo di rocca. Nel 1568 sono presenti nell’isola 46 fabbriche di vetro.
Il XX secolo si apre a Murano in linea con la tradizione: contrariamente a quanto succedeva in altri paesi nei quali la moderna produzione di vetro si caratterizza per nuovi processi di lavorazione. Nel isola di Murano sono le tecniche sperimentate da secoli a dar forma a vetri di stile piu moderno.
Ancora oggi si usa la fornace, come mille anni fa, pèr ottenere gli efetti, le trasparenze e i disegni voluti. Il vetro nasce, infatti, da una miscela di sabbia e silice che, una volta raggiunta una certa temperatura, diventa liquida per poi solidificarsi assumendo le forme volute dal vetraio, conservando la trasparenza dei liquidi ma assumendo forme solide. Nascono cosí dalle sapienti mani dei vetrai, eleganti oggetti e forme d´arredamento in vetro.
 bicchieri veneziani in cristallo di Murano tipo "Regina Margherita"
                                                         
 Candelieri e coppa in vetro muranese
 Bicchieri in cristallo tipo "Sciá di Persia"
    Lampadario Veneziano in cristallo muranese con decoro rubini e oro

GANGI, UNA PERLA EN EL CORAZÓN DE SICILIA

GANGI,  UNA PERLA EN EL CORAZÓN DE SICILIA

Un pueblito del siglo XIV y todo el encanto de los paisajes y su gente. La Basílica de la Madrice, los palacios y el museo de los Capuchinos.

Como el Pueblo Blanco de Serrat de un barranco, éste cuelga pero de un monte. Es Gangi, una antigua aldea de agricultores en el centro de Sicilia, Italia. Y allí vamos en busca de los ancestros. Los abuelos partieron de ese mismo lugar hace un siglo, en 1905, y al llegar por la campiña, en un micro que partió de la ciudad de Palermo, lo vemos ahí arriba, todo amurallado, entre amarronado y grisáceo. Emociona. Y no va que encima deja de llover y sale el arco iris, para dejar caer uno de sus extremos sobre la torre Sarracena. Algo increíble.

En la Plaza del Pueblo, tras subir por sus callejuelas laberínticas y angostas, del siglo XIV, después de tener el panorama inverso al viaje de llegada, desde arri ba de la montaña al generoso verde rural, preguntamos al azar a un anciano de boina, pura Sicilia, si conoce a algún Restivo y el hombre nos toma del brazo, bien italiano, otea a un grupo que conversa a la sombra de la basílica y después nos dice: "Là c'è uno, andiamo".
Gangi es un pueblito fundado con permiso de Enrico Ventimiglia, conde de Geraci, en 1300, luego de que un año antes Federico II de Aragón (porque a Sici lia no faltó nadie: fenicios, cretenses, griegos, cartagineses, romanos, árabes, normandos, franceses, aragoneses, cada uno dejando huella) ordenara destruir su antecesora desde el siglo V antes de Cristo, Engio, de cuya voz nació el nombre Gangi.

En su Plaza central, punto neurálgico del puñado de familias que allí viven, se destacan la fuente del león y la Basílica de la Madrice, con sus tres naves y el campanario, una torre feudal de los Ventimiglia. Y dentro del templo, una de las mayores obras de arte de la ciudad y de Sicilia, "El juicio universal", de Zoppo de Gangi.

El Palacio Bongiorno es otro sitio obligado, al extremo opuesto de la Plaza del Pueblo. Pertenecía a la familia Piraino hasta el 1700 y contiene frescos del pintor Fumagali. Y, como en toda Italia, en Gangi se lucen sus viejas iglesias: Nuestra Señora de la Cadena, Santa María de Jesús, San Cataldo o el Salvador, entre otras. Además, los conventos y el museo de los Capuchinos. Pero lo que no puede dejar de visitarse son las confiterías con las típicas canolas (cubanitos fritos rellenos de ricota) u otras exquisiteces hechas con las mejores masas del mundo, esas que trajeron las abuelas.

                                                                                           inf. Clarín

 

SANSEPOLCRO, LA CITTÁ DI PIERO DELLA FRANCESCA

SANSEPOLCRO, LA CITTÁ DI PIERO DELLA FRANCESCA
Posta ai piedi dell’ultimo tratto dell’Appennino toscano, Sansepolcro domina l’Alta valle del Tevere, che si apre in un vasto anfiteatro montano e collinare, delimitato dall’Alpe della Luna, dalla Massa Trabaria, dalle colline della vicina Umbria e dai monti dell’Aretino e dell’Alpe di Catenaia. La tradizione attribuisce a Sansepolcro un’origine mitica per opera di due Santi pellegrini, Arcano ed Egidio che, di ritorno dalla Terra Santa, si fermarono in questa valle dove, per un segno divino, decisero di restare e costruire una piccola cappella per custodire le Sacre Reliquie, portate da Gerusalemme.

Intorno a questo primo oratorio si sviluppò il Borgo che fu detto, proprio per questa origine, del Santo Sepolcro.

 E negli antichi annali del Comune gli storici chiamarono Borgo Sansepolcro “novella Gerusalemme”.

 Feudo degli Abati camaldolesi nell’Alto Medioevo, Sansepolcro fu libero Comune dal 1163. Terra di confine, difese la propria libertà lottando contro Castellani, Perugini, e Aretini.

 Passò dalla Signoria di Uguccione della Faggiola a quella dei Tarlati e a quella, poi, dei Malatesta.

Fu per un breve periodo sotto il dominio dei papi per poi passare, dal 1441, sotto Firenze, dai Medici ai Lorena, fino all’unità d’Italia.

Nel 1520 Sansepolcro fu fatta città e nominata sede vescovile da Papa Leone X.

Dal ‘300 al ‘500 Sansepolcro ebbe il periodo di massimo splendore. Di quei secoli ricchi di commerci (dal guado ai panni ), di arte e cultura, ne è testimonianza il centro storico della città. Chiuso al suo interno da una cinta muraria delimitata dalle cannoniere di Bernardo Buontalenti e dalla pregevole Fortezza di Giuliano da Sangallo, il centro storico di Sansepolcro si caratterizza per un succedersi di pregevoli palazzi medioevali, con le caratteristiche torri, oggi mozze, e rinascimentali (Palazzo delle Laudi, Palazzo Alberti, Palazzo Aggiunti, Palazzo Graziani, Palazzo Ducci del Rosso,…); per le sue Chiese ( dalla Cattedrale romanica, alla Chiesa gotica di S.Francesco) con i loro caratteristici campanili; per l’eleganza e la raffinatezza degli elementi architettonici. Un centro storico colpito da una lunga storia di terremoti, di attacchi esterni e di lotte tra le varie fazioni cittadine, ma che ha conservato sino ai giorni nostri i caratteri di un centro d’autore, profondamente legato al massimo figlio di questa terra: Piero della Francesca.

L’Artista, che si firmava “Pietro dal Borgo”, ha immortalato la sua città nelle sue opere, esaltandone i caratteri, così da avvicinarla a quella città ideale di cui allora si discuteva nelle corti italiane.

Ma Sansepolcro non è solo la patria di Piero della Francesca: La sua ricca storia artistica e culturale si lega ai nomi di Dionisio Roberti, Luca Pacioli ( uno dei massimi matematici del Rinascimento, allievo di Piero della Francesca e amico di Leonardo da Vinci), Matteo di Giovanni, Raffaellin dal Colle, gli Alberti, Santi di Tito, ….

Accanto alla grande tradizione artistica, il folclore. Sansepolcro è infatti anche la città del Palio della balestra e dei giochi di bandiera, testimonianza di un passato di lotte in difesa della libertà comunale. La seconda domenica di settembre, quando i balestrieri di Sansepolcro rinnovano la sfida ai rivali di Gubbio, Sansepolcro si veste dei colori di Piero della Francesca: Squillano le chiarine, rullano i tamburi e in piazza Torre di Berta trionfa il Palio della balestra: festa secolare (le sue origini risalgono ai primi del ‘400) con la quale Sansepolcro ricorda il suo fiero passato di libero Comune, continuamente impegnato a difendersi dagli attacchi dei Signori vicini. Da quelle esercitazioni militari trae origine la gara di tiro con la balestra antica all’italiana, da banco, giunta sino ai nostri giorni con le stesse regole dei secoli passati. Seduti sui banchi da tiro, a 36 metri dal bersaglio o corniolo ( un tronco di cono con al centro una bulletta di ferro), i balestrieri, i cui nomi vengono estratti a sorte, si alternano nei tiri. Vince chi più si avvicina al centro. Vestiti con abiti pierfrancescani nobili, dame e cavalieri assistono alla sfida, mentre gli sbandieratori lanciano nel cielo i loro vessilli.

A fare del settembre il mese cittadino per eccellenza non c’è solo il Palio, corso in onore del Santo Fondatore Egidio. Altri due importanti appuntamenti si alternano annualmente: la Biennale dell’arte orafa e la Biennale del merletto o trina a spilli, con le quali vengono valorizzate due importanti tradizioni locali che uniscono in sé arte e perizia artigianale.

Oggi Sansepolcro è una città attiva e moderna, con circa 15.600 abitanti, che, pur impegnata a salvaguardare il proprio nobile passato, la sua identità di città d’autore e le sue tradizioni, guarda al futuro. Il suo sviluppo industriale risale al 1827, data di nascita della Buitoni, l’importante industria alimentare che da qui si è sviluppata a livello internazionale e oggi è presente a Sansepolcro con un modernissimo pastificio. Accanto a questo, altri marchi prestigiosi nel campo della camiceria, della maglieria e del tessile abbigliamento, caratterizzano l’economia della città. Alla struttura industriale va aggiunta una agricoltura basata in particolare sulla coltivazione del tabacco, particolarmente pregiato, seguito da peperoni, pomodori, girasoli, cereali, tra i quali grano, mais, orzo. In questi ultimi anni si è andata sviluppando la coltivazione e commercializzazione delle erbe officinali , accanto ad una crescente sensibilità verso un’agricoltura pulita che faccia della Valtiberina una “valle verde”.


TORRE PENDENTE DI PISA - CAPOLAVORO DEL MEDIOEVO

TORRE PENDENTE DI PISA - CAPOLAVORO DEL MEDIOEVO

La Torre di Pisa è il campanile del Duomo. La costruzione iniziò nell’agosto del 1173 e proseguì (con due lunghe interruzioni) per circa duecento anni, con piena fedeltà al progetto originario, il cui autore non è noto con certezza.
In passato molti credettero che la pendenza della Torre fosse parte intenzionale del progetto, ma ora sappiamo che non è così. La Torre fu progettata "diritta" (e anche se non pendesse sarebbe uno dei più notevoli campanili in Europa), e cominciò a inclinarsi durante la costruzione.
Per la sua bellezza e per la sua pendenza, dal 1173 ad oggi la Torre è stata oggetto di specialissima attenzione. Durante la costruzione, si cercò di contrastarne l’inclinazione con speciali accorgimenti costruttivi; più tardi, si provvide a più riprese alla sostituzione di colonne ed altre parti lesionate; infine, oggi si sta agendo sul sottosuolo con lo scopo di ridurre significativamente la pendenza della Torre, in modo da assicurarle lunga vita

L’inclinazione della torre è attualmente di circa 5 metri; la sua altezza è di 56 metri con uno sprofondamento medio di 2,50 metri alla base. La torre continua a pendere in ragione di un millimetro ogni anno ed è motivo di grande preoccupazione per i tecnici che sperano comunque di poter stabilizzare definitivamente il famoso campanile.

In questa lunga storia c’è una significativa costante, il "codice genetico" della Torre: la sua continua interazione col suolo su cui è costruita. I lavori in corso per la salvaguardia e la conservazione della Torre con metodologie avanzatissime sono impostati nel massimo rispetto di questa costante.

LA PRIMAVERA , DESTACADA PINTURA DEL RENACIMIENTO FLORENTINO

LA PRIMAVERA , DESTACADA PINTURA DEL RENACIMIENTO FLORENTINO

Cuando Sandro Botticelli realiza esta magna obra en 1478,  pleno Renacimiento italiano no podía ser completamente consciente de la trascendencia que supondría para el arte posterior. Lo primero que debiera llamar nuestra atención, en relación con los usos de la época, es su enorme formato, la pintura profana casi nunca utilizó estas dimensiones, que se reservaban para la expresión de los temas sacros. Esto le confiere un carácter de cristianización de un tema que a primera vista parece totalmente ajeno a las creencias religiosas.

 En La Primavera vemos nueve personajes en un huerto, en actitudes diversas, algunos formando grupos; estudiaremos el contenido de derecha a izquierda. Junto al extremo derecho vemos a un personaje de aspecto masculino,Eolo, similar a la representación del Nacimiento de Venus, que se precipita, agitando los árboles en su impulso, sobre un ser de aspecto delicado: se trata de Cloris, personificación de la Tierra; todo en ellos es contradictorio: Eolo es de tonos fríos, azulados, de actitud decidida, soplando continuada y fuertemente; por el contrario, la Tierra está pintada en tonos cálidos, su actitud es temerosa y descoordinada, su aliento es sincopado y deja escapar brotes vegetales. La Tierra está siendo poseída, desflorada, por el Viento. Los árboles que están en la parte superior, verdes todos ellos, dan flor y fruto a partir de la boca de la Tierra y hasta el extremo izquierdo. Más a la izquierda avanza decididamente una joven, la Primavera, distribuyendo las flores que tiene en el embolsamiento de su túnica, a la altura del vientre, cayendo allí desde la boca de la Tierra; va vestida con una túnica adornada con flores y se ciñe y adorna también con éstas. Las flores van a parar a los pies del personaje central. En el centro de la composición, destacada por la vegetación, está una mujer que representa a Venus. Va vestida recatadamente: lleva una túnica amplia y un manto de dos tonos, rojo y azul, que arrastra por el suelo; parece tener un vientre muy prominente, como si pudiera estar en avanzado estado de gestación; su cabello se cubre por un velo; se calza con sandalias. Se desplaza hacia la izquierda, adonde señala, según se ve por la posición de sus miembros y el extremo de su manto. Se trata de una representación de la Venus púdica. Encima de Venus está un niño alado desnudo con los ojos vendados: es Cupido, el dios del amor físico, que está disparando una flecha de punta de fuego con su arco. Venus y Cupido figuran elementos contrapuestos: la actividad de Cupido se contrapone a la actitud melancólica de Venus, siendo también contrapuestos sus sexos. Cupido dispara su flecha a la joven que se encuentra en lugar central en el grupo de tres, a nuestra izquierda; este grupo representa a las Tres Gracias; las tres visten túnicas muy ligeras, amplias y llevan elaborados peinados; van descalzas. A nuestra izquierda vemos a una joven que está de puntillas, avanzando hacia nuestra derecha: se trata de Castitas; su izquierda tira con fuerza de la mano derecha de la que está en el otro extremo; con su brazo derecho intenta detener a la compañera que ocupa el lugar central, la que va a ser herida por Cupido. En el lugar central está Voluptas, que quiere irse con el joven del margen izquierdo. Es detenida frontalmente por Cástitas mientras que su otra compañera la sujeta por los dedos de la mano derecha; se ha quitado la manga izquierda de su túnica y está muy agitada. Junto a Venus queda Pulchritudo, la tercera integrante del grupo, quien desea ir adonde la lleva Cástitas y, por otra parte, retener a Voluptas. Cástitas y Voluptas representan fuerzas contradictorias, mientras que Pulchritudo intenta equilibrarlas. En el extremo izquierdo del cuadro está Mercurio, el dios de los misterios, de las cosas ocultas, representado como un joven tocado por un casco con yelmo, armado por una espada, que se cubre por un manto, o clámide, rojizo con bordados; va calzado con unas botas aladas. Está de espaldas al resto de la composición, ocupado en hurgar unas nubes del ángulo superior izquierdo con su caduceo.