Blogia

COL CUORE IN ITALIA

L´OMBRA NELLA BOTTIGLIA

L´OMBRA NELLA  BOTTIGLIA

Primavera, Aprile. Anno imprecisato.

Il cielo era magnifico, libero da nuvole al centro, velato appena nella parte inferiore da uno strato sottile di polvere luccicante. Stelle a grappoli, e onde lievi a levigare il grande cristallo: la luna si cullava tra gli scogli, e foglie s’agitavano, tentennavano, percorse da refoli di vento sottile.
Luce lieve, onde, piccole e schiumose, suoni ignoti si liberavano nell’aria colma di profumi, e la spiaggia appariva desolata e silenziosa. Solo il mio dolore, quello sentii scorrere, una sensazione nuova, e la consapevolezza che senza di lei avrei perduto la mia essenza, io smarrito, io follia, l’alieno.
Ricordai con nitore gli ultimi istanti della conversazione, il viso di lei, quegli occhi sinceri e profondi, il suo passo leggiadro, le mani piccole e ben curate. Sentii il suo profumo, agonizzai nel respiro del suo cuore. Il cielo era ancora magnifico, e il vespero si diluiva nelle pozzanghere, subito dopo la pioggia, quella pioggia lenta che martoriava la spiaggia e feriva a morte l’anima mia.
I pensieri oscillavano nel vuoto, istanti, l’addio, e ancora i suoi occhi neri profondi e le sue parole intrise di nulla, cattivi presagi, già all’inizio, mentre le sue labbra si muovevano ritmicamente, sembravano fuochi fatui, ed io non ascoltavo, inseguivo invece il volo delle rondini nell’aria umida e malaticcia.
“È finita: non posso continuare ad amarti”, disse lei, allungando lo sguardo oltre l’orizzonte.
Io immobile, essere fragile, cristallo che si frantuma e si ricompone, io adesso ombra a ridosso dell’ombra, parvenza, lacrima del cielo.
Riuscii a sussurrare qualche frase distratta, per tentare di farla ragionare, sperando che lei cambiasse idea, ed intanto osservavo i suoi capelli frammentarsi tra le onde, il suo viso colare dalle rocce, il cuore esploderle tra i seni, ed io immobile, lontano in uno spazio racchiuso nell’evanescenza, dentro parole senza significato, ancora solo, scia di luce in agonia, acquerello.
“Io ti amo, Annette: non posso vivere senza di te”.
Lei rimase impassibile, con gli occhi persi nel vuoto, raccolta dentro una veste attillata, mentre un pezzo di cielo svaniva nel il blu cobalto del mare, e la mia anima delirava, occhi accesi e spettri nel cuore.
“Sento una nuova melodia, musica, amore, nuovo e fecondo respiro, un’altra emozione oltre, oltre il tuo viso: non posso più amarti”, continuò lei, sbattendo le palpebre.
“Ma…”, risposi, mentre da lontano l’oceano brillava, al centro, a cento passi dal molo e le onde rincorrevano i gabbiani, per l’aria salivano, sembravano spruzzi di luce in miniatura.
“Non c’è sentore d’eternità nelle passioni, e ogni anelito è sogno di carta, desiderio destinato a perire, incertezza, falsità, ombra a ridosso dell’ombra: l’amore si svela, s’allunga tra le ali del vento, diviene delirio, poi al tramonto s’occulta e scompare. Nulla è certo nell’incertezza, nulla che possa durare per l’eternità, tutto è destinato a perire, frammento, goccia di rugiada che al mattino svanisce, quando il primo raggio di sole con forza ne dissolve la traccia.
“Annette, ti prego”, balbettai con gli occhi colmi di lacrime.
“È finita, è tempo che io regali l’altra metà del mio cuore. Ancora una volta: addio”.

Rimasi immobile, luna e luci oramai svanite, la sera che si cullava, il dolore sentii scivolare nel cuore, e il vento vidi alitare, mentre a grappoli le stelle già depositavano luce tremula, e gocce sulla sabbia smarrivano la traccia.
“Annette!” gridai, nel disperato e vano tentativo di farle cambiare idea.
Un oceano di silenzio oltre il molo, qualche barca, e il cielo intanto fagocitava le ultime stelle, e l’uragano s’approssimava, gonfio il mio cuore di tragedia.
“Non c’è sentore d’eternità nelle passione”, gridò lei da lontano, ed io ad osservare le onde tramutarsi in angeli e gli angeli oscillare e frantumarsi e riapparire, lontano, in un luogo che sogno non è, né realtà, un striscia d’incertezza che spesso si confonde, ci confonde, ci turba.
L’eco di una voce solitaria, un gabbiano, l’urlo del vento, poi l’uragano.
Rincasai quando era notte fonda. Dopo il canneto il fiume, qualche stella sospesa sugli steli, il mio dolore e la stradina illuminata, poi aprii la porta, accesi la luce e mi buttai sul divano.
Le pareti sembravano di burro, e l’aria all’interno era irrespirabile.
Aprii la finestra e buttai l’occhio distrattamente oltre il davanzale. La luce dei lampioni si sdraiava esile sulla strada, e solitudine correva lungo i marciapiedi. Richiusi la finestra con forza, girai i tacchi e m’incamminai con passo spedito verso la cucina.
Vidi una Ballerina di Vetro sostare immobile sopra la credenza. Un attimo di titubanza, poi adagiai tra le gambe la bottiglia: il tappo esplose nell’aria con fragore, liberando un suono stridulo e colmo di disperazione. Afferrai un bicchiere: particelle, sogni in miniatura, il passato, tutto in un attimo svanì nella gola ed anche il mio dolore, scivolò dentro, lentamente, inesorabilmente.

“Non c’è sentore d’eternità nella passione: il mio cuore chiede un altro amore”.
Presi la bottiglia, la rigirai delicatamente tra le mani, poi, stringendola con passione, cominciai a buttar giù quel nettare divino. Un sorso, ancora, ancora uno, fino a quando, trascorso qualche minuto, di quel liquido dorato nella bottiglia non rimase alcuna traccia.
Alzai verso l’alto la bottiglia, e guardai attentamente il fondo: solo trasparenze vidi, e il viso di lei oscillare dentro, mentre il cielo all’esterno era adesso talmente espressivo che si poteva racchiudere tutto in un solo respiro.
“Addio”.
Ancora lei, il ricordo di quella voce querula.
Rimasi immobile, io frammento di luce, goccia in agonia, e in quella notte avara d’emozioni persi gli ultimi pensieri.
Ancora, non c’era tempo per pensare, né ordine da custodire, né sogni da inseguire: il desiderio era svanito sulle ali delle comete, e a parte quel triste ricordo che ignobile saltellava nella stanza, null’altro era rimasto a farmi compagnia.
Un’altra bottiglia rigirai tra le mani, lucida, altera nella sua ignobile bellezza
Aprii la finestra: il tappo esplose ancora con fragore.
Un sorso, due, poi ancora uno. Adesso le pareti oscillavano e il ricordo di lei fluiva lento. Sussultò ancora il mio cuore, e disperazione frammista a nebbia sottile invase la stanza.
L’ultimo sorso, poi il cielo svanì. Silenzio intorno, qualche stella, la nebbia che fitta invase la stanza.
Caddi sul divano, e sogni di carta presero il sopravvento.


Aprile. Due anni dopo


È splendido il cielo questa mattina, lieve il respiro del vento, le rondini volano basse, e la spiaggia brilla come uno smeraldo. Il mare s’apre alla luce, delicatamente, in questo mattino inconsueto e le onde danzano e, schiuma brillante traversa il molo. L’aria profuma di salsedine, libera scorre tra i cespugli, e il senso dell’esistenza s’occulta e traballa: oltre l’orizzonte riesplode, quasi luce appare, ma solo un attimo, è solo un frammento, un dolore, il mio, quello di sempre.
Sono solo, perduto in un ricordo che lacrime calde racchiude; apro gli occhi, sbadiglio, e l’occhio butto distrattamente oltre il molo.
“Il mio cuore rincorre un altro amore”.
Il ricordo di lei m’assale, oscilla appena la sua ombra, la vedo in lontananza. Mi alzo in piedi, traballo, nulla intorno, a parte un velo di nebbia, il solito mare, la spiaggia e un’altra bottiglia.
Gli amici si sono allontanati, ed anche la mia vita appare lontana, sento qualcosa che m’appartiene, il suo respiro, poi tutto svanisce, nell’ombra. Oltre il molo intravedo qualche pescatore armeggiare con le reti, ancora il sole, la solita spiaggia e le rondini.
Di me non è rimasta traccia. Ho smarrito il passo dell’esistenza, il dolore è rimasto, ruvida la mia pelle, i pensieri intorpiditi, il corpo flaccido, avvolta l’anima mia di filo spinato.
C’è un piccolo bar vicino al molo. La costruzione è bassa, semplice nella sua desolante architettura; le pareti all’interno sono colorate di rosa pallido, e sedie di vimini circondano il bancone. Il mio amico Sprizz conosce tutti i suoi clienti, con garbo li tratta, saluta con educazione, e ad ogni cenno, versa il solito liquido.
Sprizz, ad ogni mia fugace apparizione, scrollando il capo, usa sempre la solita espressione.
“Dovresti smettere di bere, mio caro”.
Io allungo un sorriso distratto, prendo il bicchiere tra le mani, e senza pensare butto giù tutto d’un fiato quel nettare divino.
“Non puoi continuare così, amico mio”.
Sorrido ancora, e il mare oltre la finestra traballa, e l’odore di salsedine penetra nelle narici.
Un altro bicchiere, ancora uno, un altro ancora.
“Sono le tre del pomeriggio, amico mio”.
“Ho ancora i suoi occhi incollati al mio cuore”, balbetto, rivolgendomi a Sprizz.
Il mio amico appena sorride, con gli occhi lucidi e il viso ampio e luminoso.
“Dovresti smettere di bere e dimenticare”, risponde lui; e tristezza traballa in quegli occhi intelligenti.
Sono anch’io di marmo, oramai non ho altro da fare, a parte bere e inseguire i miei sogni, altro non odo, vento, fantasmi, non uno ma una moltitudine, sospesi a fluttuare tra le nuvole.
Il mondo si è capovolto.
“Sprizz, per favore, dammi la solita bottiglia”, chiedo, cercando nelle tasche gli ultimi spiccioli.
Lui mi guarda, tentenna, si caccia sotto il bancone, e prende un’altra bottiglia.
“C’è sempre l’ombra, Sprizz ?”, chiedo ridendo.
“È sempre la solita, amico mio, quella che ti condurrà per mano verso la morte”.
“Ciao, Sprizz”
“A presto, amico mio”, risponde lui con gli occhi tristi.
Il cielo è limpido, aria lieve gira intorno alle cose e la spiaggia riluce come uno smeraldo.
Mi siedo sul molo, tolgo l’involucro di carta, prendo tra le mani la bottiglia.
Un sorso ancora, l’ultimo, prima di rincorrere con lo sguardo una rondine solitaria, mentre gli spettri oscillano, l’oceano, e gli occhi di lei che sguazzano tra le onde, e io sono lontano, non uno, ma una moltitudine di ombre e lei non c’è, non verrà, mai ritornerà ad ascoltare l’urlo disperato del mio cuore.


Antonio Messina, settembre 2004.


SANSEPOLCRO.... CENTRO STORICO

SANSEPOLCRO.... CENTRO STORICO

SANSEPOLCRO..... SBANDIERATORI

SANSEPOLCRO..... SBANDIERATORI

SANSEPOLCRO.... CENTRO STORICO

SANSEPOLCRO....  CENTRO STORICO

GIGIO, IL TOPO PIÚ FAMOSO DEL MONDO

GIGIO,  IL TOPO PIÚ FAMOSO DEL MONDO

Topo Gigio è un pupazzo animato raffigurante un topo in gomma piuma (per la precisione moltoprene) creato in Italia per la televisione alla fine degli anni 1950 da Maria Perego, che in un'intervista attribuì il suo enorme successo al fatto che esso fosse "il ritratto del candore, della fiducia in un mondo flagellato dai pericoli e dalle paure". Altri contribuirono fattivamente alla sua ideazione ed al suo successo, in particolare Federico Caldura, Guido Stagnaro e Peppino Mazzullo, la sua voce storica. Il personaggio è caratterizzato da un forte romanticismo, innocenza pura e senso dell'umorismo.

                             

Storia del pupazzo

Le sua prime apparizioni televisive sono del 1959, a Canzonissima, condotta da Delia Scala e Nino Manfredi e l'11 febbraio nella trasmissione per ragazzi Saltamartino.

Nel 1960 è il protagonista del programma Le storie di Topo Gigio di Stagnaro, in onda ogni mercoledì pomeriggio, da cui partì il vero successo del personaggio, soprattutto presso i bambini.

Nel 1961 fu il primo pupazzo animato ad apparire nel Carosello, come testimonial dei biscotti Pavesini. Lo stesso anno è protagonista del film Le avventure di Topo Gigio diretto da Caldura e Luca De Rico con sceneggiatura di Stagnaro e di Mario Faustinelli.

                       

Il 1961 è anche l'anno del debutto sul Corriere dei Piccoli, disegnato da Dino Battaglia su sceneggiatura di Perego, Caldura ed Alberto Ongaro.

Nel 1969 è protagonista di una produzione cinematografica nipponica diretta da Kon Ichikawa, Topo Gigio e la guerra del missile (nome originale Topo Jijio no botan senso). Il film fu un disastro di critica e pubblico.

Negli anni successivi partecipa a moltissime trasmissioni della RAI, in particolare come spalla fissa di Cino Tortorella nello Zecchino d'Oro. Nel 1974presenta anche Canzonissima accanto a Raffaella Carrà.

           

Nel 2004 Maria Perego firma un contratto con la Mediaset che stabilisce anche il passaggio di Topo Gigio alla televisione commerciale e, tra le altre cose, la sostituzione della voce Mazzullo. Nonostante il contratto preservasse la presenza del pupazzo nelle trasmissioni storiche, quell'anno nello Zecchino d'Oro esso viene sostituito da Geronimo Stilton della Piemme, generando numerose polemiche dirette alla RAI. Molti riconoscono in questo evento la morte del personaggio, per promuoverne di nuovi. Topo Gigio è tornato su Rai Uno per il 48° Zecchino d'Oro.

Successo internazionale

Il personaggio di Topo Gigio è apparso ed ha avuto successo in trasmissioni televisive di tutto il mondo, in particolare in Olanda, in Germania, in Messico,in Argentina, in Venezuela ed in Giappone. Enorme successo ebbe anche nel The Ed Sullivan Show della CBS, con ben 92 presenze, divenendo quasi un ospite fisso.

      

In Giappone, la Nippon Animation ha creato nel 1988 una serie animata per la televisione di 34 episodi in cui Topo Gigio viene rappresentato come il primo topo astronauta a viaggiare nella Via Lattea, asserendo la sua provenienza da 2,388,400 anni nel futuro.

                                   

MAESTOSI PAESAGGI DI CUYO : VALLE DELLA LUNA E TALAMPAYA

MAESTOSI PAESAGGI DI CUYO : VALLE DELLA LUNA E TALAMPAYA

Sia il Parco Provinciale Ischiguasto che il Parco nazionale Tampalaya sono giacimenti paleontologici e archeologici de enorme importanza.
All'interno di entrambi i parchi è possibile osservare resti fossili di vertebrati, di dinosauri, calchi di felci e tronchi di araucarie pietrificate.
Il nome del Parco Provinciale Ischiguasto ha un'etimologia particolarmente poetica : significa infatti "Sitio donde se posa la luna "
Situato nel nordest della provincia di San Juan, e nel Dipartimento di San Agustín de Valle Fértil; si estende su un territorio che nell'antichità fu un lago ricchissimo di vegetazione .
Oggi il clima desertico è una delle principali caratteristiche del luogo, con pochissime precipitazioni che hanno luogo soprattutto in estate.
El parque que el 30 de Noviembre de 2000 fué declarado Patrimonio Natural de la Humanidad por la UNESCO;
Durante la visita il viaggiatore potrà osservare diverse formazioni rocciose che si ergono in verticale, dette dagli abitanti della regione Huayquerías . Queste particolarissime conformazioni rocciose sono il prodotto del lavoro costante degli agneti atmosferici.
Nei due parchi il turista tiene può avvalersi di guide specializzate e nel Parco di Tampalaya esiste un servizio privato di veicoli che si incarica del trasferimento degli ospiti.
La città di Rioja e la località di San Agustín della Vallée Fertile (in San Juan) sono i punti più vicini per accedere ai due parchi.

 

Questi parchi si trovano in una regione d´Argentina chiamata Cuyo.

Cuyo, in lingua indigena significa " paese dei deserti " .
La sua denominazione suggerisce chiaramente al visitatore i sui caratteri distintivi : l'asprezza delle sue cime , l'imponenza dei suoi vulcani innevati, le grande distese che vanno dalle cime andine alla precordigliera fino alla steppa pianeggiante.
E' in questa regione che le Ande Centrali raggiungono le maggiori altezze : il cerro Aconcagua con i suoi 6.959 m è il monte più alto dell'emisfero occidentale.

                  Il "Vento bianco"

                  Aconcagua:cima sud

                 

L'economia della regione è basata soprattutto sull'agricoltura, ( viticoltura in particolare) e sul turismo.
Luogo estremamente favorevole alla pratica di sport quali l'alpinismo, l'escursionismo e lo sci, con le sue meravigliose piste richiama un gran numero di visitatori ogni anno tra giugno e settembre.
Le principali città di questa regione sono Mendoza, San Juan e San Rafaël e tutte confermano la vocazione turistica della regione incanalando un importante flusso turistico.
Da Mendoza inoltre si può partire per le escursioni che arrivano ai piedi dell' Aconcagua e per le escursioni al Puente Inca, sull'antica strada per Cuzco in Perù.
Nella vicina S. Juan partono le escursioni per il Parco Naturale di Talampaya e per la Valle della Luna .
Cuyo è la zona vitivinicola per eccellenza: la sua Fiesta de la Vendimia è molta conosciuta.
Da non perdere il "Parques Naturales Ischigualasto - Talampaya
(Patrimonio Natural de la Humanidad) ". Ischigualasto, anche chiamato "Valle della Luna" per la sorprendente forma e colore delle sue formazioni rocciose modellate dall'ersione dei venti, è uno dei giacimenti paleontologici più importanti al mondo.

GRAZIE ORIANA

GRAZIE ORIANA

Oriana Fallaci (Firenze, 29 giugno 1929 - 15 settembre 2006) è stata una giornalista e scrittrice italiana. Prima donna in Italia ad andare al fronte in qualità di inviata speciale, con i suoi dodici libri ha venduto 20 milioni di copie in tutto il mondo.

Oriana Fallaci è la prima di tre sorelle: Neera e Paola, anch'esse giornaliste e scrittrici. Il padre Edoardo fu un attivo antifascista che coinvolse la figlia Oriana, a soli 10 anni, nella resistenza con compiti di vedetta. La giovane Oriana si unì così al movimento clandestino della Resistenza Giustizia e Libertà vivendo in prima persona i drammi della guerra: nel corso dell'occupazione di Firenze da parte dei nazisti, il padre fu catturato e torturato a villa Triste, ed in seguito rilasciato. Per il suo attivismo durante la guerra ricevette a 14 anni un riconoscimento d'onore dall'Esercito Italiano.

La Fallaci iniziò a 16 anni la carriera giornalistica esortata dallo zio Bruno Fallaci, grande penna e direttore di settimanali. Lavorò prima come collaboratrice per quotidiani locali e poi come inviata speciale per L'Europeo.

Nel 1965 Oriana Fallaci dedica al padre il libro Se il sole muore in cui descrive i preparativi per lo sbarco americano sulla Luna. Per scrivere il libro incontra il capo progetto della missione, l’ex scienziato nazista Wernher von Braun (colui che aveva progettato per Hitler i razzi V2 da sparare su Londra).

Nel 1967 si reca in qualità di corrispondente di guerra per L'Europeo in Vietnam: ci ritornerà 12 volte in 7 anni raccontando la guerra senza fare sconti nè ai Vietcong e ai comunisti nè agli statunitensi e ai Sudvietnamiti e documentando le menzogne e le atrocità, ma anche gli eroismi e l'umanità di un conflitto che la Fallaci definì «una sanguinosa follia». Le esperienze di un anno di guerra vissute in prima persona sono state raccolte nel libro Niente e così sia pubblicato nel 1969.

A metà del 1968 la giornalista lascia provvisoriamente il fronte per tornare negli USA a seguito della morte di Martin Luther King e di Bob Kennedy e delle rivolte studentesche di quegli anni. In un passaggio di Niente e così sia irride «i vandalismi degli studenti borghesi che osano invocare Che Guevara e poi vivono in case con l'aria condizionata, che a scuola ci vanno col fuoristrada di papà e che al night club vanno con la camicia di seta».

Il 2 ottobre 1968, durante una manifestazione di protesta contro i Giochi Olimpici a Città del Messico, rimase ferita negli scontri tra studenti e polizia in Piazza delle Tre Culture. Morirono centinaia di giovani (il numero preciso è sconosciuto) e anche la Fallaci fu creduta morta e portata in obitorio: solo in quel momento un prete si accorse che era ancora viva. La Fallaci definì la strage come «un massacro peggiore di quelli che ho visto alla guerra».

Oltre al Vietnam seguì come corrispondente anche la guerra indo-pakistana, le guerra in Sud America e in Medio Oriente.

Nel 1969 il comandante dell’Apollo 12, Pete Conrad, alla vigilia del lancio, si reca a New York per incontrare la Fallaci e chiederle un consiglio riguardo la frase da usare al momento di mettere piede sulla Luna. Poiché Neil Armstrong aveva detto: «Un piccolo passo per un uomo, un gigantesco balzo per l'umanità», la fiorentina consigliò, dato la bassa statura di Conrad, la frase: «Sarà stato un piccolo passo per Neil ma per me è stato proprio lungo». Il comandante, che portò con sè sulla Luna una foto di Oriana bambina con la madre, disse proprio questa frase una volta giunto sul satellite.

Nell'agosto 1973 la giornalista fiorentina conosce Alekos Panagulis, leader della Resistenza greca contro il regime dei Colonnelli. Si incontrano il giorno che lui uscì dal carcere: ne diventerà la compagna di vita fino alla morte di lui, avvenuta in un apparente incidente stradale il 1° maggio 1976. La storia di Panagulis verrà raccontata dalla scrittrice nel romanzo Un uomo, pubblicato nel 1978.

Nel 1975 la Fallaci e Panagulis collaborano alle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini, amico della coppia. La Fallaci sarà la prima a denunciare il movente politico dell'omicidio del poeta.

Nel 1975 esce il primo romanzo di Oriana Fallaci diverso dall’inchiesta giornalistica, Lettera a un bambino mai nato. Esso è il primo grande successo editoriale della scrittrice che vende 4 milioni e mezzo di libri in tutto il mondo.

Nel 1976 sostiene le liste del Partito radicale, anche per le loro campagne femministe. [1]

All'attività di reporter hanno fatto seguito le interviste a importanti personalità della politica, le analisi dei fatti principali della cronaca e dei temi contemporanei più rilevanti. Tra i personaggi intervistati dalla Fallaci: Re Husayn di Giordania, Vo Nguyen Giap, Pietro Nenni, Giulio Andreotti, Giorgio Amendola, l'arcivescovo Makarios, Alekos Panagulis, Nguyen Cao Ky, Yasser Arafat, Mohammad Reza Pahlavi, Haile Selassie, Henry Kissinger, Walter Cronkite, Indira Gandhi, Golda Meir, Nguyen Van Thieu, Zulfikar Ali Bhutto, Deng Xiao Ping, Willy Brandt, l'Ayatollah Khomeini (durante l'intervista la Fallaci lo apostrofò come «tiranno» e si tolse il chador che era stata costretta ad indossare per essere ammessa alla sua presenza) e Muammar Gheddafi.

Consegnandole la laurea ad honorem in letteratura, il rettore del Columbia College di Chicago la definì «uno degli autori più letti ed amati del mondo». Ha scritto e collaborato per numerosi giornali e periodici, tra cui: New Republic, New York Times Magazine, Life, Le Nouvel Observateur, The Washington Post, Look, Der Stern, e Corriere della sera.

Nel 1990 esce il romanzo Insciallah dove la scrittrice coniuga la ribalta internazionale con l’idea del romanzo. Il libro, ambientato tra le truppe italiane inviate dall’ONU a Beirut, si apre con il racconto del primo duplice attentato suicida dei kamikaze islamici contro le ambasciate americane e francesi che causò 450 morti tra i soldati.

Dopo l'uscita di Insciallah Oriana Fallaci si isola andando a vivere a New York, nell'Upper East Side di Manhattan. Qui inizia a scrivere un grande racconto la cui lavorazione, durata per tutti gli anni novanta, è stata interrotta dai fatti dell'11 settembre 2001.

In questo periodo scopre di avere un cancro ai polmoni che lei più tardi definirà «L'Alieno».

Con i suoi recenti libri e articoli sulle tematiche dell'11 settembre, che hanno suscitato sia elogi sia contestazioni nel mondo politico e nell'opinione pubblica, la scrittrice denucia il decadimento della civiltà occidentale che, minacciata dal fondamentalismo islamico, è incapace di difendersi. Secondo altri, le sue posizioni furono invece controproducenti per la stessa cultura occidentale, in quanto ridussero lo scontro culturale ad uno scontro adialettico e «violento» (si vedano, per esempio, ma non solo, le affermazioni di Oriana Fallaci relativamente alla moschea a Colle Val d'Elsa) e quindi non proprio alla tradizione della cultura occidentale.

Nel 2004 si è schierata contro l'eutanasia nel caso di Terri Schiavo, presentando le sue posizioni con un articolo apparso su Il Foglio, e contro il referendum abrogativo della legge sulla procreazion medicalmente assistita, con un articolo pubblicato dal Corriere della sera.

Dopo aver espresso per tutta la vita opinioni anticlericali negli ultimi anni si è avvicinata alla Chiesa cattolica. Pubblicamente ha dichiarato la sua ammirazione verso papa Benedetto XVI, che l'ha ricevuta a Castel Gandolfo in udienza privata il 27 agosto 2005. L’incontro doveva rimanere segreto, ma la notizia è stata resa pubblica tre giorni dopo l'incontro, mentre i contenuti del colloquio non sono mai stati resi noti.

Nel marzo 2005 il quotidiano Libero ha lanciato una raccolta di firme affinché il Presidente della Repubblica conferisse alla Fallaci il titolo di senatore a vita. Sono state raccolte oltre 75.000 firme.

Muore il 15 settembre 2006 a 77 anni, dopo un peggioramento delle sue condizioni di salute dovuto al tumore che da anni l'aveva colpita. Aveva deciso di tornare a Firenze, con grande riserbo, per passarvi i suoi ultimi giorni.

È stata sepolta nel cimitero evangelico degli Allori, alle porte di Firenze, nella tomba di famiglia accanto ad un ceppo commemorativo di Alekos Panagulis, suo compagno di vita. Con la bara sono stati sepolti una copia del Corriere della Sera, tre rose gialle e un Fiorino d'Oro (premio che la Fallaci non ha mai vinto), donato da Franco Zefirelli.

                           foto8

Riconoscimenti

Il 30 novembre 2005 Oriana Fallaci ha ricevuto a New York il premio Annie Taylor per il coraggio del Center for the Study of Popular Culture ("Centro Studi di Cultura Popolare"). La scrittrice è stata onorata per "l'eroismo e il valore" che hanno fatto di lei «un simbolo nella resistenza contro il fascismo islamico e una combattente nella causa dell' umana libertà.» L'Annie Taylor Award (istituito in ricordo della prima persona a sopravvivere in un viaggio all'interno di una botte dalle cascate del Niagara) viene assegnato a individui che hanno mostrato e mostrano eccezionale coraggio in circostanze pesantemente avverse e di fronte a grave pericolo. David Horowitz, il fondatore del centro, motivando la premiazione, ha definito la Fallaci «un generale nella guerra per la libertà».

Su proposta del Ministro dell'istruzione Letizia Moratti il 14 dicembre 2005 il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi ha insignito Oriana Fallaci con una medaglia d'oro quale "benemerita della cultura". Le sue condizioni di salute le hanno impedito di prendere parte alla cerimonia di consegna, in occasione della quale ha scritto: «La medaglia d'oro mi commuove perché gratifica la mia fatica di scrittore e di giornalista, il mio impegno a difesa della nostra cultura, il mio amore per il mio Paese e per la Libertà. Le attuali e ormai note ragioni di salute mi impediscono di viaggiare e ritirare direttamente un omaggio che per me, donna poco abituata alle medaglie e poco incline ai trofei, ha un intenso significato etico e morale».

Il 22 febbraio 2006 il presidente del consiglio regionale della Toscana Riccardo Nencini ha insignito la Fallaci della medaglia d'oro del consiglio stesso. Nencini ha motivato la sua scelta dicendo che la Fallaci è una delle bandiere della cultura toscana nel mondo. Durante la premiazione, avvenuta a New York, la scrittrice ha raccontato del suo tentativo di creare una vignetta su Maometto, in risposta alla montante polemica sulle vignette apparse sui giornali francesi e olandesi, che raffiguravano Maometto. A proposito ha dichiarato: «Disegnerò Maometto con le sue nove mogli, fra cui la bambina che sposò a 70 anni, le sedici concubine e una cammella col burqa. La matita, per ora, si è infranta sulla figura della cammella, ma il prossimo tentativo probabilmente andrà meglio».

                                  foto6

Povia...I BAMBINI FANNO OOH...LA STORIA CONTINUA

                                               

                                                               Povia

Si vede, che Povia è arrivato al successo di colpo: lo testimonia il packaging del suo secondo album, che tutto può definirsi fuorché cool, con quelle foto – di copertina, e sul retro – un po’ fuori fuoco, i colori forti e persino il titolo del disco, non certo studiato da un genio del marketing: “I bambini fanno ‘ooh’ la storia continua”, senza segni di punteggiatura o congiunzioni a tenere insieme le due frasi rette dal verbo.
Sarà questo, che ce lo fa essere istintivamente simpatico. O saranno i testi, surreali come quelli del Gazzé più ispirato, immediati come quelli del Vasco più giovane. Oppure la forma e il ritmo delle sue canzoni, che sembrano filastrocche e che in apparenza sono pezzi lievi, lievi: dagli arcinoti bambini che fanno “ooh” ai piccioni di “Vorrei avere il becco”, passando per “Fiori” (“Tu non senti odore di fiori, però mi annusi, poi levi la mano e ti scusi, così m’illudi”) e “Non è il momento” (“Mi sono preso il fine settimana per portarti a far l’amore sulla luna con la tenda il vino rosso e le polpette di mia mamma come piace a te”).
Però, si sa che – a volte – è nei piccoli dettagli che si nasconde il genio. Non stiamo dicendo che Povia lo sia in senso assoluto: ma che ne abbia, del genio, è indubitabile. Per l’anticonformismo, l’ingenuità e l’incosciente coraggio che l’hanno portato l’anno scorso ad autoescludersi dal Festival (aveva già eseguito dal vivo parte del brano candidato, “I bambini fanno ooh” per l’appunto), e quest’anno a riprovarci con un pezzo che all’inizio tutti prendevano in giro (“Giaaà, i piccioni. E poi?”) e che alla fine cantavano tutti, e che guarda caso, complice il panorama desolante di uno dei Sanremo più tristi della storia, si è classificato primo.
E poi, una cosa va sottolineata: con la pubblicazione del secondo album, Povia ha fatto una piccola rivoluzione. Includendo nello stesso cd anche il disco dell’anno scorso, “Evviva i pazzi”, che comprendeva dieci brani. Così chi acquista oggi “I bambini fanno ooh e la storia continua” in tutto se ne trova diciassette, di canzoni: le dieci vecchie più i sette inediti, tra cui una versione spagnola della hit 2005 (“Cuando los niños hacen ‘ooh’”). Non male, per quindici euro.
Per il resto, un invito all’ascolto: perché non è vero che Povia ha scritto solo una canzone bella. E se “I bambini…” è la sua personale “Albachiara”, ci sono diversi altri pezzi che vale la pena di sentire. Tipo “Fiori”, allegra e provocante, ma anche la riflessiva “Mia sorella”, la dolce (e un po’ scontata. Ma ogni tanto ce n’è bisogno) “T’insegnerò”, la coraggiosa “Ma tu sei scemo” che parla di amori omosex senza malizia. Povia, lo dice lui stesso, è uno che “molto sottovoce” grida. Per usare parole molto semplici: è bravo e non se la tira. Statelo a sentire.

                                                          Povia, foto